09 marzo 2007

finestrini

ho raccolto la mia disperazione
come si raccoglie la roba sparsa in camera.
l'ho raccolta tutta, una maglietta a forma di cuore, un paio di calze, l'amore, fare l'amore, le carezze, i baci, gli abbracci, le mutande,
il maglione, le urla, le mani,
i capelli, la camicia, i jeans.
ho raccolto tutto e l'ho messo in macchina.
e poi via al buio.
ho lavato tutto con le lacrime.
forti, copiose, lacrime di disperazione.
lacrime sui finestrini, lacrime sul volante, sul pomello del cambio,
sulla radio.
lacrime sul telefono mentre una voce
era solo una voce a poche centinaia di metri da li.
io piango davanti ad un cimitero.
il silenzio.
tutto quello che è rimasto, solo il silenzio, violentato dal mio pianto.
loro hanno ascoltato tutto, ognuno con la sua vita dimenticata, ognuno con la sua
morte diversa.
hanno ascoltato in silenzio tutti intorno a me
mentre dicevo "mi sveglio e non ci sei, vado a letto e non ci sei".
hanno ascoltato mentre diceva "anche tu non ci sei"
hanno ascoltato "mi manchi da morire"
hanno ascoltato il silenzio.
un angolo di notte dove lavare i miei panni sporchi.
solo.
abbandonato alla mia voglia di piangere,
solo piangere.
avevo voglia solo di quello.
e di una vita fatta da quattro mani, quattro occhi, quattro gambe,
venti dita, due teste, due nasi, quattro orecchie, due bocche, due corpi, quattro braccia.
un amore.
e quella maledetta casa che e' crollata prima di essere costruita.
io, figlio di un ingegnere, che da piccolo seguivo mio papa' dappertutto, nei
cantieri, sulle strade ad imparare come si faceva a costruire una casa,
da dove si partiva, come facevano a costruire il secondo piano.
io che seguivo una casa da quando le sue matite con le mine ricaricabili
tracciavano le righe sui fogli.
quando le sue penne a china 0.1, 0.2 e 0.3 ricalcavano i segni leggeri delle matite.
io che andavo a fare le copie dei progetti in copisteria e li riportavo con quel profumo strano
di ammoniaca mista a chissa' cosa.
e poi giorno dopo giorno vedere come quelle righe piatte diventavano stanze, bagni, cucine,
sogni.
io, figlio di un ingegnere.
che volevo fare l'ingegnere.
la mia casa l'ho lasciata li.
su un foglio stropicciato, bagnato da lacrime, cancellato da gomme di incomprensioni.
e in quella casa ora è rinchiuso tutto il mio dolore.

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